Burning Ghat – Varanasi (Uttar Pradesh) – Puri (Orissa), India
Varanasi è considerata la città sacra per la religione indu in quanto le acque sacre del Gange rappresentano la salvezza e la liberazione dell’anima dai peccati.
A Varanasi si può ottenere il ” moksha ” ovvero la liberazione dal “samsara”, il ciclo di morte e reincarnazione, cui l’anima è costretta per raggiungere l’eternità e quindi la salvezza; è proprio per questa ragione che molti pellegrini vengono a morire e a lavare via le proprie colpe.
La maggior attrattiva di Varanasi sono i ghat, ovvero delle scalinate che scendono e si immergono nelle acque del Gange dove si svolgono le pratiche di “abluzione”, un lavaggio rituale a scopo di purificazione spirituale (che almeno una volta nella vita l’induista deve compiere).
Il Manikarnika ghat è il più importante per le cremazioni; vengono cremati in media più di 60 corpi al giorno. Visto dal fiume si differenzia dagli altri in quanto ha un’atmosfera cupa, è pieno di fuochi e di cenere.
In cima a questo ghat spicca la legna da ardere, il legno dovrebbe essere il sandalo ma poiché è molto costoso è più facile che si usi il legno di mango e poi polvere di sandalo perchè ha un profumo migliore.
Il legno viene venduto al chilo e messo su delle bilance enormi per stabilire il prezzo della cremazione. Utilizzare la giusta quantità di legna è un po’ una saggezza e un’arte. Comprarne troppa significherebbe sprecare soldi, comprarne poca significherebbe non bruciare completamente il corpo del congiunto.
Alcuni tipi di defunti non vengono bruciati, come quelli dei sadhu (gli asceti che dedicano la propria vita all’abbandono), delle madri incinte, delle persone morse dal cobra e di coloro che sono morti di colera e di vaiolo in quanto sono ritenuti posseduti da una divinità che ha già eliminato ogni attaccamento al mondo materiale, pertanto vengono gettati con una pietra legata ai loro piedi in mezzo al fiume, mentre tutti gli altri vengono trasportati dai “dom” su una barella fatta di bambù ricoperti con lenzuola molto colorate e così si avvia un corteo funebre per le strade della città. Il corteo non è così triste come lo possiamo immaginare noi occidentali, al contrario avanza a passo di marcia, con il ritmo scandito dal grido di alcuni che ripetono Ram nama Satya Hey! che vuol dire “Il nome di Dio è verità”, mentre il coro risponde Satya Hey, Satya Hey cioè “Verità, Verità”.
Arrivati al ghat il corpo del defunto viene immerso nelle acque del Gange per la purificazione e l’espiazione dei peccati, poi bruciato sulle pire e infine le ceneri vengono disperse nel fiume sacro.
Puri, una delle 7 città sante dell’India, è considerata città sacra per la religione indu e luogo di cremazioni.
E’ anche chiamata Swargadwar Puri; Swargadwar è il terreno di cremazione degli indù. ‘Swarga’ significa cielo e ‘dwar’ significa gateway, quindi Puri è considerata come
l’accesso al cielo.
E’ credenza generale sostenere l’idea tra le popolazioni indi di porre fine alla loro vita in questo luogo sacro per ottenere l’accessibilità
al cielo per liberare la loro anima e, in definitiva la salvezza.
A Puri si può ottenere il ” moksha ” ovvero la liberazione dal “samsara”, il ciclo di morte e reincarnazione, cui l’anima è costretta per raggiungere
l’eternità e quindi la salvezza; è proprio per questa ragione che molti pellegrini vengono a morire e a lavare via le proprie colpe.